Dalle mutue alle casse di mutualità
UN'ALTRA ECONOMIA?
Nel mondo - specialmente là dove l'arte di sopravvivere stimola l'innovazione - esiste anche un’altra economia: quel vasto insieme di microattività produttive che esprime il tentativo di sopravvivere o la voglia di riscatto di milioni di persone.
È l’economia informale, molto più spesso definita “economia popolare del lavoro”, perché punta a massimizzare le capacità di lavoro, cercando di evitare che rispetto al valore “persona” prendano il sopravvento il mercato, l'efficienza, la competizione.
Un’economia popolare che può creare i presupposti per un sistema locale in grado di reggere la sfida della globalizzazione ed offrire un’opportunità di sviluppo umano ai singoli ed alle comunità.
Gli ostacoli a questa prospettiva sono numerosi: dall’assetto diseguale dei mercati globali, tutt’altro che “liberi” e “concorrenziali”, alla barriera finanziaria, quell’autentico apartheid che nega l’accesso al credito alle fasce più povere della popolazione, anche quando da esse emergono validi progetti imprenditoriali. La finanza etica si adopera per sviluppare una strategia che promuova, consolidi e rafforzi l’economia popolare del lavoro, in particolare attraverso la “cultura della microfinanza” che sa sposare microcrediti e microdepositi, basandosi sul suo “vantaggio competitivo” fondamentale: la solidarietà.
Ecco perchè parliamo di una cultura del credito solidale: perchè la finanza etica non è solo un prodotto finanziario supplementare rispetto ai classici servizi bancari; è un modo radicalmente nuovo di concepire il ruolo del credito nei processi di sviluppo e di gestirlo secondo tecniche bancarie all’avanguardia. È il risultato ultimo di un processo lento e sommerso di auto-organizzazione popolare, di recupero e valorizzazione delle pratiche finanziarie tradizionali, che ha portato alla creazione ed all’affermazione di organizzazioni locali di microfinanza, come consorzi di microimprese, cooperative di risparmio e credito, banche villaggio, organizzazioni non governative, associazioni, finanziarie, banche, centri servizi.
LE ORIGINI: LE SOCIETA' OPERAIE DI MUTUO SOCCORSO
I primi segni storici di una "economia sociale" nascono per iniziativa di una certa borghesia illuminata alla fine del 1700: nel 1778, alla Accademia delle scienze di Torino, al concorso indetto sul "modo di provvedere agli operai che lavorano nelle seterie quando vi fosse penuria di seta", la proposta vincente fu quella di costituire, in caso di crisi, casse alimentate dai contributi dei lavoratori.
I valori su cui si fondavano le Società Operaie di Mutuo Soccorso (SOMS) erano la mutualità, la solidarietà fra i lavoratori, l'autogestione dei fondi sociali ed, infine, la moralità. Era, infatti, frequente trovare negli Statuti norme che vietavano l'elargizione di sussidi nell'ipotesi in cui le malattie erano causate dall'abuso di vini e liquori, o che vietavano ai soci di praticare taluni vizi come il lotto o il gioco d'azzardo.
Fra i principali obiettivi delle società di mutuo soccorso vi erano l'istruzione, la salute e la previdenza. La Società Operaia di Oneglia creò un gabinetto di lettura ed una scuola di disegno per i figli dei soci; quella di Sanremo creò importanti scuole serali. Ad Asti nel 1853 si costituirono scuole domenicali e serali, s'impose l'obbligo della presenza e si firmò una petizione al Governo per estendere la scuola elementare e premiare quei padri di famiglia che la facessero frequentare ai loro figli. Spesso queste società predisponevano vere e proprie statistiche sulla frequenza con cui talune malattie colpivano i soci. Le Mutue si basavano sul principio della comunione dei rischi possibili (malattia, invalidità, infortunio, disoccupazione) o futuri (vecchiaia, morte). Gli oneri inerenti agli eventuali bisogni dei singoli venivano ripartiti fra tutti gli associati ed il diritto alle prestazioni sorgeva automaticamente quando ne ricorressero e se ne accertassero le condizioni.
Agli affiliati era chiesto il regolare versamento di una quota del salario in rapporto alla prestazione garantita. L'obbligo di un contributo fisso era una condizione non semplice da rispettare, data l'esiguità dei salari, ma che educava alla parsimonia.
Il modello mutualistico prevedeva un fondo autonomo costituito da contributi obbligatori ed aveva un suo schema:
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ripartizione per malattie
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capitalizzazione per invalidità e vecchiaia
Gli statuti delle Società di mutuo soccorso si proposero anche altri scopi accanto a quelli tradizionali: il sostegno creditizio agli associati, la fornitura di materie prime e attrezzi di lavoro, la vendita ai soci di prodotti di prima necessità al prezzo di costo, la costituzione di magazzini sociali. In questi obiettivi, che spesso erano legati alla difesa di interessi di categoria, era possibile individuare l'embrione della cooperazione. Nel 1854 si costituiva a Torino, per iniziativa della società di mutuo soccorso “Associazione Generale degli Operai”, la prima cooperativa di consumo. Sul piano del credito, ad un Congresso fra le società di mutuo soccorso liguri, a Novi Ligure, si discusse tra l’altro sulla possibilità di costituire casse di risparmio per concedere denaro a basso costo e per costituire rendite per la vecchiaia.
Uno dei padri del movimento solidaristico e mutualistico del nostro paese può essere considerato Giuseppe Mazzini. Le idee mazziniane rappresentarono un veicolo di grande importanza nella diffusione in Italia dei valori e degli ideali cooperativi e influenzarono moltissimo la nascita di alcune società di mutuo soccorso. Mazzini incitava ad unirsi "fra gente di uno stesso mestiere per dare vita a coraggiose cooperative", raccomandava di associarsi e "tassarsi anche di una modesta quota per creare casse di previdenza e di assistenza". Ma le SOMS non hanno avuto solo una matrice laica. Nel luglio 1854 nasce a Genova la prima Società operaia cattolica italiana, la Compagnia di San Giovanni Battista. Il mondo clericale più aperto e illuminato si era convinto della necessità di mettersi al passo con i tempi, riunendo i lavoratori cattolici in Società di mutuo soccorso. Il primo articolo dello Statuto affermava "Fine della Compagnia è di soccorrere le famiglie della classe operaia, non solamente per sollevare le infermità corporali, ma per rendere anche morigerati i membri, e solleciti nell'adempimento dei loro doveri verso Dio e verso il prossimo".
Nel 1900 le mutue erano oltre 8.000, con più di un milione di soci ed un patrimonio di cento milioni di lire. Con l’avvento del fascismo si ebbe nel 1924 lo scioglimento delle mutue per Decreto Legge e, nel 1926, con le Leggi Speciali e la costituzione dell´Opera Nazionale Dopolavoro, l’assorbimento nella struttura fascista di tutte le forme di associazionismo.
Dopo la liberazione, nel 1950 furono costituite la Federazione Italiana della Mutualità, quale continuazione della soppressa Federazione Italiana delle Società di Mutuo Soccorso, e numerose organizzazioni di credito popolare che concedendo ai soci piccoli prestiti a bassissimo tasso d'interesse, favorirono lo sviluppo di piccole aziende cooperative e garantirono l'assistenza sanitaria ed il sostegno economico alle categorie più deboli, ai disoccupati, agli orfani ed alle vedove nei difficili anni della ricostruzione.
LE CASSE DI MUTUALITA’
Negli anni cinquanta nacquero, tra le altre, la “Cassa Cooperativa tra i dipendenti dell’Azienda di Trasporti di Bologna” e la “Cassa Assistenza Mutua fra gli Autoferrotranvieri di Catania” che si andarono ad aggiungere alle storiche “Casse di mutualità” sopravvissute al fascismo ed alla guerra, come l’ “Istituto di Previdenza, Sovvenzione e Mutuo Soccorso tra i dipendenti dell’acquedotto di Napoli”; la “Cassa Maurizio Capuano”; e la “Cassa Depositi e Prestiti Società Cooperativa fra il personale dell’Azienda di Trasporti di Genova” fondate negli anni venti allo scopo di raccogliere i risparmi dei soci per prestarli ad altri soci tutti appartenenti alla medesima azienda pubblica.
Negli stessi anni tale fenomeno si consolida con lo stesso spirito e gli stessi scopi anche tra i dipendenti Ministeriali (Tesoro, Interni, Commercio Estero, Agricoltura e Foreste, Sanità) per poi trasmigrare agli Enti Locali (Regione Sicilia, USL del Lazio) con il decentramento amministrativo.
Con il Testo Unico Legge Bancaria del 1993 si ha una battuta d’arresto perché la nuova Legge stabilisce l’assoluto divieto per i soggetti diversi dalle Banche di poter effettuare la raccolta di risparmio. Le Casse vivono due anni di incertezza circa il loro futuro, non potendosi privare dell’unica fonte di finanziamento rappresentata dai risparmi degli stessi soci. L’incertezza permane fino al 1995 quando, a seguito delle pressioni esercitate dalle stesse Casse, vengono emanati dal Ministero del Tesoro tre decreti che consentono ai soggetti esistenti a quella data, in via transitoria, e a particolari condizioni, di continuare ad operare.
Quindici anni dopo, il D.Lgs. 141/2010, nel recepire nel nostro ordinamento la direttiva europea 48/2008, riforma il titolo V del Testo Unico Bancario e, paradossalmente, costringe le Casse di Mutualità a battersi nuovamente per continuare ad operare, nonostante l’articolo 5 punto 2 della stessa direttiva europea 48/2008 stabilisse con la massima chiarezza che gli stati membri devono tutelare le organizzazioni istituite per il reciproco vantaggio dei soci e senza scopo di lucro, che ricevono e gestiscono i risparmi dei loro membri e forniscono ai soci fonti di credito sulla base di un tasso annuo effettivo globale inferiore a quello prevalente sul mercato, purchè alle stesse organizzazioni possano aderire soltanto i dipendenti, in attività o in pensione, di un determinato datore di lavoro.
Grazie all’impegno dei dirigenti delle Casse di mutualità, dopo due anni di pressioni esercitate in tutte le sedi istituzionali, il Decreto Legislativo 19 settembre 2012, n. 169 ha introdotto il comma 7 dell’art. 112 del T.U. che consente agli enti e alle cooperative di cui al D.M. 29/3/1995 di realizzare il loro scopo sociale che consiste nel favorire l’accesso dei soci al credito legale.
Napoli, 1 gennaio 2013